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Anticonformista e spirito nuovo

Rassegna stampa | L´Unione Sarda | Sab, 3 Maggio 2008
Benvenuto Lobina infrange la staticità della lirica sarda

Hanno qualcosa in comune Benvenuto Lobina e Pietro Mura, i due poeti che, forse più degli altri, hanno condotto, tenendola per mano, una poesia bambina, figlia di quella sarda tradizionale (possente e sonante), oltre i confini della tradizione stessa. Non solo li accomuna il fatto di essere nati in due paesi del Campidano non lontani l´uno dall´altro: Benvenuto Lobina a Villanovatulo, Pietro Mura a Isili. Né soltanto la passione per la buona lettura, praticata da entrambi, e l´impossibilità di proseguire studi regolari oltre le scuole elementari. Li rende simili molto di più la prodigiosa urgenza di cantare la loro terra con metodi diversi, nuovi nei confronti degli schemi poetici della tradizione orale. Benvenuto Lobina (Villanovatulo, 1914- Sassari 1993) aveva cominciato da giovanissimo a scrivere poesie in italiano. Ed era stato iniziato al Futurismo a Cagliari dove, non ancora ventenne, faceva l´impiegato postale, da un gruppo di poeti che facevano capo a Gaetano Pattarozzi, il poeta cagliaritano amico di Filippo Tommaso Marinetti, che rappresentò il Futurismo nella Sardegna degli anni Trenta. La poesia futurista «calzava perfettamente - diceva Lobina - al mio stato d´animo di ragazzo che scopriva il mondo», in quanto «libera dalla schiavitù del verso ritornato, della rima, del costrutto, anche della grammatica, senza i ceppi e le soste della punteggiatura».

Questo spirito di libertà espressiva entrò decisamente in tutta la sua poesia e anche nelle pieghe della sua vita, sposando l´anticonformismo nativo che aveva portato Benvenuto a rompere con gli schemi precostituiti, e a prendere posizioni decise contro la tradizione poetica sarda, dalla quale era riuscito a svincolarsi. Mantenne la stessa libertà stilistica e grafica anche quando, quasi seguendo il suo pensiero che galoppava verso i luoghi e le emozioni del suo paese natale, cominciò a scrivere in dialetto materno («Un giorno stavo parlando con amici nel mio dialetto del Sarcidano.
Si parlava della povertà del nostro villaggio, del duro lavoro di tutti, uomini, donne vecchi e bambini, quando mi venne voglia di mettere qualcosa su carta. Arrivato a casa presi carta e penna e continuai a parlare in dialetto, quasi senza accorgermi che stavo scrivendo. Fu un´esperienza bellissima»). La fortuna del poeta fu garantita, oltre che dal suo geniale talento, dall´attenzione che lettori importanti come Giuseppe Fiori e Sebastiano Dessanay rivolsero alle sue poesie (soprattutto a quella intitolata O Frumindosa, la preferita da Dessanay). Anche il Premio Ozieri contribuì alla diffusione del suo nome: gli conferì, nel 1964, il primo premio per il testo Chini scidi (Chissà), vibrante di raffinata interpretazione della speranza sociale innescata dal Piano di rinascita.
Poi ci fu il salto oltre il mare: nel 1974 esce Terra, disisperada terra, Jaca Book, Milano. Versi forti e memorabili animano questa raccolta di uno spirito nuovo: non più soltanto lotta contro la staticità della poesia sarda tradizionale, ma confronto alla pari con altre poetiche straniere che avrebbero potuto impedire, o anche solo contrastare, lo sviluppo di una cultura sarda nuova, soprattutto di carattere poetico. Utilissimo, per conoscere a fondo la figura e l´opera di Lobina il saggio Benvenuto Lobina intervistato da Salvatore Tola, in Il piacere di scrivere. Scrittori sardi allo specchio. Atti del Convegno in onore di Michelangelo Pira, Quartu Sant´Elena, 1990, Comune di Quartu-Provincia di Cagliari.

(Franco Fresi)

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