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Intervista a Giulio Angioni

Interviews | Mon, 31 March 2008
La casa editrice Il Maestrale ha recentemente pubblicato il suo ultimo romanzo La pelle intera che vede come protagonista il giovane Efis Brau, soldato nel secondo conflitto mondiale. Ci può spiegare cosa l´ha indotta a collocare la storia di Efis in questo preciso momento storico e come ha preso forma la figura del protagonista nella sua immaginazione?

Ci sono motivi originariamente biografici. Per dirne solo uno, un mio zio ha avuto un´esperienza del genere, sebbene non proprio quella. Mi è sembrato che fosse utile raccontare una storia in qualche modo esemplare di una situazione secondo me molto comune in quei terribili tempi: la difficoltà di fare la scelta giusta, o anche solo di capire che cosa ci stava succedendo, soprattutto da parte dei più giovani, di quelli che allo scoppio della guerra erano ancora ragazzini, come Efis Brau. Credo che il tema del mio racconto sia questo: la terribile confusione del momento, che però richiedeva decisione e scelta di campo, spesso armi in pugno, e magari salvando la pelle.

Compiendo un´indagine su Internet, si evince che una della sue opere maggiormente apprezzate dai lettori risulta essere Le fiamme di Toledo. Saprebbe spiegarsi le ragioni di un così forte consenso di pubblico?

Intanto non mi pare che si possa parlare di un successo di pubblico de Le fiamme di Toledo. Non credo che abbia avuto in tutta Italia più di qualche migliaia di lettori. Tra l´altro, non c´è abbastanza sesso, no? Però credo che la storia vera che vi è raccontata non possa non interessare, e che quindi chi si addentra nella lettura non possa non andare in fondo alla storia di Sigismondo Arquer. Io ne sono stato preso.

Supponiamo che un regista voglia realizzare un film basato su uno dei suoi romanzi e che lei abbia la facoltà di indicare quale. Su quale titolo si orienterebbe?

Questa è davvero una supposizione. Non vedo come, non dico un regista, ma un produttore si possa orientare verso un mio libro, oggigiorno. Comunque, il mio romanzo più facile da portare sullo schermo, se proprio insiste, e se dovessi decidere io, mi pare Assandira. Ma perché non Le fiamme di Toledo? La pelle intera poi è già quasi una sceneggiatura. Mah, come vede, non so orientarmi, soprattutto perché mi pare che il mondo del cinema non possa interessarsi a cose scritte da me. Ma siccome ogni tanto mi pare di avere scritto qualche pagina decente e magari anche filmabile, i posteri magari... In fondo io sono uno di quei fissati che scrivono per non morire del tutto, orazianamente.

Nelle sue opere la Sardegna riveste spesso un ruolo di indiscussa importanza. Lei crede che talvolta, in seno alla letteratura sarda, si commetta l´errore di fornire un´immagine volutamente arcaica e intrisa di magia e superstizione al fine di attirare su questa terra suggestione ed ammirazione?

Credo che questo accada ancora molto soprattutto perché sia in Sardegna e sia soprattutto fuori si richiede allo scrittore sardo questa specie di autoesotismo, cioè un´ambientazione sarda carica dei luoghi comuni, anche i più vieti sulla Sardegna. Non è un guaio solo sardo. Non è un caso che il Camilleri della sicilitudine manierata sia lo scrittore più letto oggi in Italia. Ma non è per attirare la simpatia ambigua sulla Sardegna che certi scrittori ne sfruttano un´immagine magico-esotica o qualcosa del genere, ma piuttosto per attirare sui loro libri il favore del mercato. Se è questo che vogliono, forse fanno bene. Se pretendono di fare altro, o sono sciocchi o ciurlano nel manico. Ma oggi in Sardegna gli scrittori seri e onesti ci sono.

Lei è noto per i suoi straordinari e numerosi lavori in qualità di antropologo e scrittore. In lei, queste due identità camminano separate o si fondono sulla base del fatto che ogni antropologo è, a modo suo, un narratore?

Per me questo è un problema, una difficoltà, che deriva dal fatto che vivo da antropologo cercando anche di fare lo scrittore. E´ una difficoltà comune a molti, che fanno qualcosa per vivere e fanno anche gli scrittori. In Italia è la condizione più normale dello scrittore, ancora più del poeta, perché di solito litterae non dant panem. Per quanto riguarda la scrittura, credo che il mio cercare di essere antropologo aiuti o comunque influenzi il mio cercare di essere scrittore. Spero anche viceversa. Se è vero che un antropologo è a suo modo un narratore, io però cerco di tenere piuttosto separati i due modi di scrittura, di narrazione, che hanno andamenti, temi e modi di comunicazione differenti. Credo comunque che nei momenti migliori un antropologo sia anche narratore e viceversa. Resta il fatto che di solito la scrittura narrativa è molto più efficace del saggio specialistico, che tuttavia conserva una sua utilità.

Un´ultima domanda. Anzi un suggerimento. Ci indichi almeno tre titoli di scrittori sardi che ha apprezzato.

Il giorno del giudizio di Salvatore Satta; Il disertore di Giuseppe Dessì; Canne al vento di Grazia Deledda; Il quinto passo è l´addio di Sergio Atzeni e molti altri in italiano. In sardo, Sos sinnos di Michelangelo Pira; Po cantu Biddanoa di Benvenuto Lobina, Basilisa di Franco Carlini.

(intervista a cura di Serena Cirina)


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