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Quanti delitti intorno all´anello sardo

Rassegna stampa | La Stampa-Tuttolibri | Sab, 5 Giugno 2004
Storia e vento, sole e delitti, poesia e memoria arcaica: il mondo di Giorgio Todde – una Sardegna scolpita nell´affetto indigeno di un narratore dalle tonalità epiche e musicali – si va delineando in un confronto sempre più aperto tra il genere del giallo storico e la letteratura senza più troppi confini etici. Due contemporanei assaggi della tensione rarefatta di questo isolano atipico arrivano a misurare l´intensità davvero pregevole del suo linguaggio sfuggente e ondulato: né Deledda né Dessì, ma neanche Ledda o Fois, ci pare, bensì una ricerca privata e circoscritta alla riscostruzione del ´mito´ Sardegna attraverso il recupero del passato, delle radici, dei profumi comunque persi con il secolo del turismo aggressivo. L´occhiata letale ci riconduce al personaggio già consolidato del medico imbalsamatore cagliaritano Efisio Marini, qui raffigurato agli esordi del suo istintivo fiuto indagatorio, diciannovenne dinoccolato in una Cagliari afosa e malarica del 1854, dove una serie di delitti legati a un anello prezioso mettoni in moto la memoria già prodigiosa del ragazzo e la sua capacità analitica. Premesso che l´occhiata del titolo non è uno sguardo di Medusa ma un pesce che abbonda nella acque del mare intorno a Cagliari, va detto che come già in precedenza – è l´umanità isolana sviscerata in tutte le sue rustiche o borghesi conflittualità a prevalere sul tessuto della trama. Questa risulta comunque proiettata in una soluzione quasi ´storica´ delle morti violente, spunta il fantasma di Cavour tre le nebbie di una loggia segreta di Cagliari, ma il tutto rusulta come smorzato dalla quotidianità dopo il solito esordio palpitante: caratteristica ammirevole in un autore che non vuole risultare ´solo´ un giallista, ma un archeologo delle sue radici. Tra ormoni virili in subbuglio per la giovane Carmina e la partenza imminente per Pisa, l´estate di Efisio lo vedrà risolvere – diretto dal suo maestro spirituale padre Venanzio – il caso dell´anello ritrovato dal barbone Tatàno nelle viscere di un´occhiata mangiata al tavolo fetido della taverna di Pelo d´oro, causa scatenante di una serie di omicidi che – dal basso di un´umanità pidocchiosa – risalirà alle motivazioni politiche per le quali furono perpetrati. A prevalere è, comunque, la suggestione di un´epoca che fa di Marini un personaggio vincente, certo non ai livelli popolar-televisivi di Montalbano, ma all´interno di una struttura architettonica precisa e poetica, discreta e attenta al culto particolare della memoria storica. Ma è ancor più lecito soffermarsi sull´altro romanzo di Todde – Ei, mini citazione greca derivata dall´oracolo di Delfi – bizzarro quanto riuscito ´pastiche´ di matrice storico-leggendaria, un percorso di conoscenza che, dalle radici della Grecia antica di Socrate, arriva a un presente delittuoso in cui gli ideali post-nipoti di antichi personaggi trovano la quiete psicologica nella ricerca di una verità millenaria. Detto così, il romanzo può risultare eccessivamente compreso in una tensione filosofica complessa, ma Todde ha saputo mescolare le carte in un´alternanza di capitoli che, dal presente nella città dei due nomi – Epipanormo e Talattone – giunge a confrontarsi con la nascita stessa della città, ad opera di due amici greci curiosi di saggezza – Peante e Nicteo – passando per il suicidio, nel Seicento, di un nobile innamorato, Guglielmino Redenti, che torna a farsi vivo come fantasma per svelare il mistero di alcuni delitti del presente. Il percorso di Todde è una sorta di mitica – e mitologica – ricerca della verità umana, e per giungervi l´autore crea una sorta di percorso nel tempo, bizzarro e grottesco, dove i morti rivivono e vengono processati, e il viaggio della conoscenza parte dalla imprese di due ragazzi avventurosi per approdare – con una serie di personaggi-simbolo che si reincarnano nei secoli – a una quotidianità ventosa e sommessa: il punto d´arrivo in cui solo il recupero della memoria mitologica riesce a stabilire i confini esatti dell´esistenza, senza più i dettami del tempo a delimitare la geografia della conoscenza umana. Le ambiziose intenzioni, comunque, sono sorrette da una costruzione attenta, vivace e necessariamente aggrappata a una speculazione intellettuale calviniana, dove tutto si crea e si distrugge in nome della finzione letteraria.

Sergio Pent

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