Vai direttamente al contenuto

SBS

Servizi Bibliografici Sardegna

Servizi Bibliografici Sardegna
     
  
Password dimenticata?
Abbonati ora!

Una luce passeggera

Rassegna stampa | La Nuova Sardegna | Gio, 13 Marzo 2008
I sogni perduti dentro una barbarica Sardegna – ´Una luce passeggera´ di Tanchis, un romanzo sospeso tra due realtà.
Aldo Tanchis è uno scrittore che dà grande rilievo ai luoghi in cui ambienta i suoi libri. Pensate al suo romanzo d´esordio, «Pesi leggeri», dove, più che da semplice sfondo a una vicenda corale, una Cagliari pulsante e vera agisce in continuo dialogo con i personaggi. Anche in «Una luce passeggera», appena edito dal Maestrale (112 pp., 14 euro), troviamo la stessa attenzione a scenari e ambienti, qui più vari, dall´Etiopia coloniale alle vaste distese innevate dell´interno della Sardegna. Vi si racconta, attraverso il punto di vista del protagonista maschile, sospeso fra il presente e il ricordo, la storia di Eolo e Liliana. I due si conoscono e si sposano in Etiopia, durante l´illusorio e vile sogno imperiale dell´Italia fascista. Lui, giovane sardo, finito laggiù a rincorrere quel sogno e a cercare ardentemente quella fortuna che si rivelerà la sua nemesi; lei, parmigiana di buona famiglia, in Etiopia per seguire gli affari del padre. Poi ´all´inizio del Quarantuno gli inglesi fermarono gli italiani e cominciarono ad avanzare´: di modo che il sogno di ricchezza e nuova vita di tanti naufragò, per lasciare spazio ai tragici eventi che seguirono. Dopo un periodo nei campi di prigionia, dove morì il primogenito appena nato, Eolo e Liliana riuscirono a tornare in Sardegna, al paese di lui, a casa della madre: che non è esattamente il sogno di una fanciulla borghese del nord Italia. Ora Eolo, tra distese sterminate e coperte di neve, è costretto a inseguire chi gli ha portato via una mandria di vacche. Mentre il suo pensiero rimbalza vorticosamente, dalla moglie e i figli a casa, con i loro piccoli gesti quotidiani, al tempo passato in Africa. Da ciò che è stato a ciò che sarebbe potuto essere. Dalle promesse del passato, a un presente che è differente. Il romanzo si divide in tre parti. La prima consiste in un quadro di poche righe e si apre con una citazione in epigrafe, tratta dagli ultimi versi della «Chanson de Roland»: ´Ma l´imperatore no, non vorrebbe andare / ‘Dio´ dice, ‘ogni mia ora è penosa e stanca!´ / Piange dagli occhi, e torce e tira la barba bianca´. Se pensiamo che l´epigrafe di un libro non è mai posta casualmente, ma in qualche modo ne indirizza il senso o, al contrario, ne accresce il mistero, possiamo allora rintracciare nelle pagine che seguono, e che formano il corpo centrale del libro, una doppia vertigine: la prima è tutta interna al fatto stilistico, per cui ci pare che l´autore, con una tendenza soprattutto iniziale all´anafora, evochi consapevolmente quella ´paratassi dominante´ che, secondo Auerbach, costituisce la forza oggettivante della Chanson. Sia detto per inciso: spesso l´attacco di un capoverso riprende un elemento già presente all´inizio del precedente, o al suo interno, dando alla prosa un ritmo decisamente cadenzato. La seconda vertigine si sviluppa, invece, ad un livello più sostanziale: l´ombra dell´imperatore, il vecchio re che ha versato dure lacrime per le sconfitte e molto sangue per le vittorie, e che neanche ora, alla fine, può fermare il proprio galoppo, si proietta sul vecchio Eolo, costretto, per l´ennesima volta, a inseguire i propri fantasmi, in mezzo a una natura ostile. Poco importa che il re cavalchi per difendere la cristianità, mentre Eolo, assai più modestamente, ma con orgoglio inattaccabile, lo fa per riportare a casa le bestie rubate: ciò che sta al centro è il conflitto delle forze, in eterna contraddizione fra passato e futuro. Non per niente, Eolo, dentro il suo presente, guarda dall´alto di una roccia, e vede il mondo come ´un´immensa, caotica rissa´: testimone delle macerie, è fratello inconsapevole dell´angelo della storia. Anche la terza parte, che nello spazio di tre pagine sigilla il romanzo, si apre con un´epigrafe, che, forse, rivela le implicazioni più intime, addirittura personali, del libro. Si tratta di un passo ricavato dalle «Confessioni» di S.Agostino: ´Quanti leggono queste parole si ricordino con sentimento pietoso di coloro che in questa luce passeggera furono i miei genitori´. È una storia autobiografica, ´familiare´, dunque, quella che Tanchis ci racconta, tentando di recuperare una memoria, quella dei suoi genitori, che filtra fra i nodi della storia, come una luce passeggera, appunto. Una memoria umana che il tempo rischia di cancellare, insieme alla malattia che erode i ricordi dell´anziana Liliana, testimone ormai muta della storia. È così che, attraverso la scrittura, Tanchis insegue il tempo perduto del padre, cercando di ripercorrerne i ricordi involontari, che, in una continua ellissi temporale, formano ciò che rimane della vita di un uomo, di una famiglia, di una società. Sulla scia della migliore narrativa sarda del recente passato – penso soprattutto ad Atzeni, che viene in mente anche leggendo «Pesi leggeri» – l´autore crea uno spazio letterario in cui uomini e luoghi hanno la stessa centralità. Quello di Tanchis non è, infatti, un universo prêt-à-porter: si apre invece, gradualmente, attraverso lo sguardo dei personaggi, mentre ogni dettaglio arricchisce di particolari il quadro, in un rapporto causale reversibile fra uomo e paesaggio. Stralciamo un breve passo, dalle prime pagine: ´Dall´alto del suo cavallo Eolo vede neve, neve, neve. Un gigantesco foglio bianco che dovrà segnare con tante piccole orme´. E ancora, più avanti: ´Un forte colpo di vento nasce dal nulla, e subito ci ritorna. La criniera ed i capelli si piegano a sinistra – Eolo chiude gli occhi e sopporta lo schiaffo, così violento che la barba ispida sembra pungerlo´. Il paradosso del vento che schiaffeggia Eolo è testimone di un uso parco ed evocativo della metafora, cui Tanchis ricorre senza tendere all´eccesso. Come il «Sonetàula» di Mereu, in questi giorni nelle sale cinematografiche, «Una luce passeggera» dimostra che si può raccontare, ancora oggi, una Sardegna ´barbarica´, come l´avrebbe definita Pasolini, ma non per forza regressiva. Senza cadere nel più facile bozzettismo o nell´affresco laccato e mistificatorio, lavorato sui luoghi comuni, tra realismo magico e metafisica a buon mercato. Nella cattiva letteratura, insomma.
Alessandro Cadoni

Inizio pagina   Stampa Stampa questa pagina   Condividi Condividi
Servizi Bibliografici Sardegna