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Asculta a mie: in sa limba de bidda nostra bi sun totas sas limbas de su mundu, ca s'istoria de sa bidda est s'istòria de totu su mundu.

Cicitu Masala (Sa limba est s'istòria de su mundu)
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Buggerru, quel giorno di settembre del 1904 , di Isabella Sordo
Di Redazione (del 05/02/2011 @ 15:49:00, in Editoriale, linkato 3982 volte)
Definita dai suoi abitanti la “piccola Parigi”, probabilmente perché per diversi decenni una società francese ne gestiva la miniera o perché la sua bellezza non è inferiore a quella della capitale francese, Buggerru, pur essendo un paese di recente formazione, occupa un posto di notevole importanza nella storia italiana. Tre statue di trachite rosa, distese a terra sulla grande aiuola della piazza, sono l'opera con la quale Pinuccio Sciola, in occasione dell'ottantesimo anniversario, ha voluto rappresentare il simbolo del tragico eccidio dei minatori che, nel 1904, pose Buggerru, a buon diritto, protagonista nella storia del movimento nazionale operaio. Quel tragico evento di sangue, in cui persero la vita i minatori Felice Littera, Salvatore Montixi, Giovanni Pilloni (colpiti dalle pallottole dei militari) e Giustino Pittau che morì successivamente in ospedale (per complicazioni dovute alle ferite riportate), non ispirò solo la scultura ma anche la poesia e la pittura. Significativo il passo «Sardegna! Dolce madre taciturna. Non mai sangue più puro e innocente di questo ti bruciò il core», tratto dall'ode “I morti di Buggerru” di Sebastiano Satta. Ma altrettanto importanti sono le opere di Giovanni Canu e Giovanni Nonnis che dipinsero due oli ispirati al tragico epilogo dello sciopero del 1904. Romano Ruju, invece, volle rievocare i fatti di Buggerru con l'opera teatrale “Quel giorno a Buggerru”. È evidente che gli idealisti, gli animi più puri, non restarono insensibili di fronte a quel sacrificio di vite umane per condizioni di lavoro più accettabili, in una già triste realtà fatta di pozzi e gallerie, di oppressioni morali e sfruttamento. Già agli inizi del Novecento i minatori erano organizzati sindacalmente e a Buggerru la direzione della Lega era stata affidata, nel 1903, al romagnolo Alcibiade Battelli (ancora oggi, quello che fu il suo ufficio, nella via principale del paese, riporta la dicitura, quasi scomparsa: “Lega minatori”), ma i tempi non erano ancora maturi per la contrattazione degli interessi dei lavoratori su un piano di parità con la classe padronale. È chiaro che la Lega fu ostacolata, fin dal suo sorgere, dalla Società francese Malfidano (La Societé anonime desmines de Malfidano), proprietaria dei pozzi di Buggerru, poiché riteneva quella unione di lavoratori, una opposizione organizzata alla sua politica di produzione e di sfruttamento. In quel fatidico pomeriggio del 4 settembre scoppiò la rivolta, dopo due giornate di sciopero nato spontaneamente, non programmato dalla Lega dei minatori, per l'imposizione del direttore della miniera, l’ingegnere Achille Georgiadés, dell'orario lavorativo invernale a partire dal 2 settembre, anziché dal 1° ottobre, come era consuetudine. Da tempo tra i lavoratori serpeggiavano il malcontento e i malumori; i dissapori erano vecchi e la sopportazione era giunta al limite e, da semplice protesta espressa con timore, il passo per l'irruente ribellione fu breve. I capitalisti francesi, proprietari della miniera, pretendevano di dettare legge in una terra che intendevano colonizzare e sfruttare fino all'ultimo grammo di minerale. Il salario era esiguo, nemmeno la metà di quanto prendeva un minatore negli Stati Uniti; le ore lavorative erano troppe e mal distribuite, si lavorava d'estate nelle ore di maggior calura e all'esterno della miniera; esisteva, inoltre, il ricatto continuo del licenziamento e della perdita della casa che veniva data in affitto dalla società mineraria. Gli operai erano, per di più, quasi obbligati a rifornirsi di tutti i generi alimentari in uno spaccio gestito dalla stessa società francese che li provvedeva di libretto, buoni di acquisto e possibilità di dilazione nel pagamento. La vita girava attorno alla Malfidano che, pur con agevolazioni ai lavoratori, aveva organizzato un giro vizioso del denaro che rientrava pur sempre nel suo bilancio. In quel clima di forzato mal vivere la ribellione sfociò spontaneamente e il 4 settembre, per una banale rivalsa all'orario di lavoro, tre uomini persero la vita sotto i colpi dei fucili dei soldati della 42a fanteria cagliaritana (arrivati la mattina di quella tragica domenica con la speranza di porre ordine senza spargimento di sangue). I minatori, esasperati, avevano colpito con delle pietre le guardie, la tensione della conflittualità esacerbò tutti e dalle armi dei soldati partirono dei colpi. A seguito di questo drammatico fatto i lavoratori italiani, guidati dai socialisti rivoluzionari, proclamarono il primo sciopero generale italiano. Per quattro giorni ampie fasce di lavoratori italiani incrociarono le braccia: diversi giornali non uscirono, parecchie fabbriche si fermarono e persino i gondolieri a Venezia fermarono le loro gondole. Agli inizi del Novecento Buggerru contava circa 8500 abitanti (oggi ne ha poco più di 1.100, tra i quali alcune centinaia di disoccupati e di pensionati). Il turismo stagionale non risolve del tutto i problemi di questa piccola comunità che vede ancora ridursi la sua forza lavorativa per l'emigrazione dei giovani nel resto d’Italia o all'estero. Un secolo fa i Buggerrai subivano lo sfruttamento padronale e classista. Oggi, nonostante il turismo ne abbia in parte cambiato il volto, il paese subisce la crisi economica e la conseguente disoccupazione.
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